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Origini

I ruderi del Castello di Avellino Data la mancanza di documenti da cui si possa trarre con assoluta certezza la data di edificazione del Castello di Avellino e della fondazione del nucleo originale di Avellino, occorre procedere per "gradi", basandosi su eventi storici e su dati tratti da documenti e libri di Autori scrupolosi nelle loro ricerche e, perciò, attendibili. In tal modo, la ricostruzione effettuata, se controvertibile, sarà verosimile ed assai vicina alla realtà degli eventi passati. Onde fornire un chiaro contesto che faccia comprendere bene le origini del Castello di Avellino, dovremo ripetere in parte ed integrare alcune cose già riportate nelle pagine dedicate alla storia di Avellino. Inoltre, per evitare che il lettore possa disorientarsi in una spiegazione abbastanza lunga, abbiamo predisposto una tabella che sintetizza gli eventi relativi ad Abellinum ed al Castello di Avellino.

L'elemento da cui occorre partire è senz'altro l'assai anomala posizione occupata dal Castello: una struttura difensiva veniva realizzata, di solito, in un posto strategico difficilmente attaccabile, quindi, in cima ad una collina, a guardia di una valle, di un valico, di un importante fiume, di un sito strategico, e così via. Tali elementi sono del tutto assenti nel caso del Castello di Avellino, che al contrario, sembra fatto apposta per agevolare un eventuale attacco nemico, collocato com'è in posizione infossata, chiusa ad ovest dalla Collina "La Terra" ed ai lati nord e sud da due dorsali, che si prolungano verso Atripalda. Un sito più ovvio, anzi, guardandosi attorno, l'unico sito dove sarebbe stato logico edificare in quella zona un fortilizio difensivo, sarebbe stato rappresentato dalla collina del Duomo, la Collina "La Terra". Se ne deduce che il Castello dovette essere edificato in quel posto, non potendosi collocare nel sito "naturale", in quanto già occupato da abitazioni di persone precedentemente fuggite da Abellinum, probabilmente aggregatesi a tappe successive, ed in numero variabile, attorno alla primitiva Chiesa di S. Maria (su cui sorse il Duomo). La prima conclusione che possiamo trarre, quindi, è che il Castello dovette sorgere (o potenziarsi) per proteggere da vicino, l'aggregato di case già esistente (o in espansione), da possibili invasioni provenienti da oriente, cioè da Benevento o dalla Puglia o dalla Lucania, e per la posizione in cui si trova anche da Capua, Nocera o Salerno, cosa del resto già sottolineata da Giovanni Rotondi nella prima metà del XX secolo, nel suo volumetto dedicato al Castello di Avellino reperibile presso la Biblioteca Provinciale (Sez. Prov. MISC C 2434). Più probabilmente, come leggerete successivamente, si trattò del potenziamento di una originaria struttura difensiva.

Ma, chiediamoci, quando sorse Avellino, cioè quando si consolidò l'aggregato di costruzioni sulla Collina "La Terra"?

Sicuramente a seguito della devastazione di Abellinum (che però non implica necessariamente un abbandono totale, potendo questo essere stato graduale e crescente). Ora, tale nefasto evento, nel 1910, venne ascritto da C. E. Volley ai Visigoti, al tempo della seconda spedizione di Alarico (410). Tuttavia, Abellinum sicuramente sopravvisse a tale evento ed a altri ad esso successivi. Infatti, come ricordò Francesco Scandone nella sua "Storia di Avellino", i Visigoti di Alarico, "dopo aver tentato invano l'assedio di Nola, dilagarono per la Campania. Giù per Capua-Rhegium, senza affrontare l'asprezza della montuosa Irpinia". Sebbene Scipione Bellabona (Ragguagli cit. p. 134 segg.) abbia scritto "Nelli 456 hebbe gran danno dall’esercito di Genserico Re de’Vandali ma si mantenne anche per i Greci …. Così nell’allegato tempo, che la Città con i suoi abitatori era nel primo luogo, appresso ove hora è edificata Atripalda", Francesco Scandone dimostrò che i Vandali di Genserico non distrussero Abellinum, data l'esistenza di un'epigrafe del 464, successiva di ben nove anni all'invasione. Quindi, Abellinum, esisteva fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476), stante l'esistenza delle seguenti epigrafi che riportavano le date consolari del 442, 445 e del 464:

Anzi, "neppure durante le prime dominazioni barbariche il ricordo della città venne offuscato". Ed infatti, con la dominazione ostrogota, durante il regno di Teodorico (493-525) "Abellinum conservò le sue antiche tradizioni", tanto che il Vescovo Timoteo prese parte nel 499 al Sinodo generale di Roma. La sopravvivenza nel periodo ostrogoto è testimoniata anche da diverse lapidi, ascrivibili al 505, 523, 526, di cui quelle con date 505 e 526, fanno riferimento a suoi cittadini appartenenti al ceto "principale" ed a quello degli "ottimati primarii".

Agli Ostrogoti subentrarono i Bizantini, impadronitisi di tutta l'Italia peninsulare nel 539, ma probabilmente già padroni di Abellinum nel 536, al tempo della prima spedizione di Belisario. Ed a questo periodo della prima dominazione bizantina risale l'epigrafe che fa riferimento alla morte di Iohanni, risalente al 541 e che si trova sulla parete interna del Campanile della Chiesa di S. Maria della Neve, la Chiesa Parrocchiale di Aiello del Sabato, antico Casale di Atripalda. Si tratta di Iohanni(cius), che Francesco Scandone ritenne Vescovo di Avellino dal 520 al 541, mentre la Diocesi di Avellino lo considera un semplice prete. Il testo è il seguente: HIC REQVIESCIT IN PACE DEI SERVVS | IOHANNI VIR PRAESBITER QUI VIXIT ANNIS LXXX | EVOCATVS A DOMINO DIE XIII KALENDAS AVGVSTAS | BASILIO VIRO CLARISSIMO CONSULE SEDIT ANNOS XXI.

L'asprezza della guerra bizantino-gotica, narrata dallo storico bizantino Procopius, nel suo "Bellum gothicum", originò la distruzione delle fortificazioni di Abellinum, visto che il Re goto Totila, per impedirne l'uso da parte dei Bizantini, lasciò nella penisola due sole città fortificate, Napoli e Cuma, con pochi castelli senza importanza. Quindi, nel 542, si dovette verificare una prima fuga di Abellinates. Parliamo di fuga e non di abbandono totale di Abellimum confortati da una lapide dell'anno 543, rinvenuta ad Atripalda, dove si legge:

"HIC REQVIESCIT GEMMA
QVE VIXIT ANNIS PLUS MINVSVE XXXV. DEPOSITA
KALENDAS AVGVSTAS POST CONSULATUM BASILI VIRI CLARISSIMI" .

Nel 552, i Bizantini di Narsete uccisero prima Totila e poi il suo sucessore Teia, mentre l'anno successivo, nel 553, ebbero definitivamente la meglio sulle ultime sacche di resistenza ostrogote, che si erano asserragliate nel Castello di Compsa. Abellinum sicuramente era ancora abitata come dimostra la seguente epigrafe del 553, rinvenuta in Atripalda: HIC REQVIESCIT IN PA | CE MARCIANA QVAE | VIXIT ANNIS PLUS MINUSQVE XXXCI.

Al 555, Serafino Pionati (Ricerche cit. pag. 13) fa risalire una prima fuga di Abellinates: "una nuova divoratrice incursione sopraggiunse ad addoppiare i malanni estremi che aveano già i nostri padri desolati. Settantamila Franchi e Germani guidati nel 555 da Buccellino e Leutari irruppero nelle nostre contrade. Entrati nel regno, il primo devastò Campania e Sannio distendendosi fino in Sicilia, ed il secondo col ferro e col fuoco rovinò la Puglia e la Calabria. Narsete colle sue maniere, e la Providenza co’ suoi castighi distrussero in breve tempo questi barbari violatori d’ogni diritto, ed incapaci di ogni dignità … questa incursione noi assegnamo la prima emigrazione degli Abellinati dal loro antico terreno. Malmenati intanto da tanti devastatori Vandali, Unni, Greci, Goti e Franchi, gli abitanti della parte suburbana si trovarono troppo esposti alla ferocia de’ barbari. Non potendo perciò capire nella parte fortificata, né avendo mezzo a guarentirsi, cercarono nelle vicine alture farsi scudo della difesa che loro senza stento offriva la natura. Drizzandosi quindi all’occidente vennero a stabilirsi nella contrada dell’odierno Avellino allora detta Belvedere, oggi il Parco…". Si noti che Francesco Scandone disapprovò fortemente quanto qui riportato e sostenuto dal Pionati.

Al periodo della seconda dominazione bizantina, che terminò nel 570, risalgono le ultime epigrafi di Abellinum, che riportano le date consolari del 553 e del 558:

La mancanza di documenti e monumenti relativi ai secoli successivi (occorre attendere due secoli fino al 769!), fa solitamente dedurre la fine di Abellinum che sarebbe stata decretata dalla successiva invasione, operata dai Longobardi nel 571. In particolare, Francesco Scandone, alle pagine 10 e seguenti della sua Abellinum longobardicum, Casa Editrice Libraria Humus, Napoli 1948, si espresse in questi termini: "Intorno al tempo e al modo dell'occupazione di Abellinum e del suo territorio, da parte dei barbari, manca qualsiasi notizia. Si può solo congetturare che la nostra città, confinante con quella di Benevento, ne abbia, a poca distanza di tempo, seguita la sorte. Si conoscono anche dei fatti che accreditano tale congettura .... In quanto al modo, con cui l'invasione fu compiuta, i cronisti ce ne tramandano delle notizie, abbastanza per se stesse eloquenti. Stragi, incendii, ruine si succedevano senza tregua, nè luoghi dove i conquistatori passavano; vastissimi territorii, rimasti del tutto deserti di abitatori, rimasero abbandonati e incolti. Pertanto è da ritenersi che ad <<Abellinum>> sia stata riservata la sorte della maggior parte delle città sorelle. Caduta oramai in rovina quella parte delle mura e delle torri, ch'era stata lasciata in piedi da Totila, i cittadini rimasti indifesi, doverono o salvarsi con la fuga, fuori dal territorio della colonia, o riparare nei vici e nei pagi. Così, anche se si volesse escludere una violenta distruzione degli edifici della città, questi sarebbero crollati dopo alcuni anni, specialmente per l'abbandono degli abitanti, ricchi di censo. Infatti, è noto che il possesso del suolo allettava in singolar modo i conquistatori. Poichè ai barbari facevano i beni fondiarii, i <<primarii>> o <<curiales>>, venivano soppressi, o costretti a mettersi in salvo altrove; e nello stesso tempo le loro abitazioni in città, saccheggiate e devastate, si lasciavano cadere in completo sfacelo". Poi Scandone dichiara di non essere affatto d'accordo sul collegamento tra Abellinum romana e quella longobarda: "Ritengo assai commendevole, da parte de' precedenti autori, il tentativo di ricongiungere idealmente il <<novum Abellinum>>, longobardo, sito a parecchia distanza dalla città antica, proprio con questa. Ma essi fanno soltanto delle gratuite affermazioni, senz'alcun puntello di prova .... Se la continuità fosse esistita, senza essere stata mai del tutto bruscamente interrotta, le cronache, o almeno i documenti, avrebbero certamente distinto l'<<Abellinum vetus>>, sulla collina della <<Civita>> presso il Sabato, di origine romana, e l'<<Abellinum novum>>, sulla collina, detta poi <<la Terra>>, edificato dai Longobardi .... Invece, in documenti dell'891, del 1043, e in qualche altro posteriore, il sito di Abellinum romanorum, o <<civita>>, viene designato come <<veterales>>, cioè <<anticaglie>>, senz'altro nome, essendosi evidentemente obliterata, presso i nuovo padroni, la denominazione antica. I barbari, infatti, avevano occupati non solo i beni privati, ma anche i beni patrimoniali pubblici, appartenenti all'ammiinistrazione della colonia, ch'erano passati insieme con le <<anticaglie>>, in potere del capo dello stato". Chiariamo qui che anticaglie sono le rovine, veterales è parola di origine germanica (verlassen). E continua lo Scandone: "Non si nega che siano sopravvissuti anche taluni <<possessores>> romani; ma essi, come racconta Paolo Diacono (ndr vedasi documento del 769), divisi pure tra i barbari, dovevano dar loro il terzo del raccolto delle terre, lasciate loro, perchè fossero coltivate. In sintesi, Abellinum si sarebbe svuotata ed avrebbe visto gli Abellinates in parte uccisi ed in parte dispersi dai Longobardi, feroci invasori, ed Abellinum sarebbe caduta in rovina e finita nel dimenticatoio. A sostegno di tale ricostruzione, lo Scandone riporta, alla pagina 12, diverse argomentazioni, che riportiamo nella loro quasi interezza:

  1. La interruzione definitiva, totalitaria, dei monumenti epigrafici;
  2. La soppressione della cattedra vescovile, di cu non si hanno più notizie fino al secolo X;
  3. La già citata mancanza, in cronache e documenti medioevali di qualsiasi accenno alla <<civitas vetus>>, cioè ad Abellinum, che pure era stata importante al suo tempo, e alla <<nova>>, abitata dai Longobard. Tale posizione sarebbe suffragata dal fatto che solo verso la metà del IX secolo, in Cronache o altri documenti si scrisse nuovamente di "Abellinum", ma facendosi riferimento al nuovo nucleo medioevale, cioè ad Avellino, facendo ipotizzare, perciò, ormai la pregressa e compiuta fine di Abellinum.
  4. I ruderi di <<Abellinum>> vetus, per i Longobardi, erano soltanto <<Veterales>>, cioè <<anticaglie>>, alle quali non davano importanza alcuna;
  5. La mancanza di un qualsiasi possedimento territoriale, costituente il <<demanio comunale>> per l'<<Abellinum barbarico>>;
  6. L'assenza di qualsiasi riferimento all'<<Abellinum vetus>> da parte dei cronisti anche quando essi rammentano il <<castrum Abellini>>, di fronte al quale, sulla collina <<La Terra>>, la nuova città fu eretta;
  7. L'assenza di ogni accenno, da parte degli abitanti, all'ideale collegamento tra l'antica città, e la nuova; le quali ebbero in comune soltanto il nome. Se i cittadini del <<novum Abellinum>> avessero serbata coscienza di tale continuità, non avrebbero permesso che l'area dell'antica loro <<civitas>> fosse devastata da possessori privati, longobardi e, molto meno avrebbero tollerato che quelle venerande reliquie rimanessero aggregate al territorio di Atripalda. La <<carità del natìo loco>> avrebbe certamente indotti gli <<avellinesi nuovi>> a far includere la <<civita>> nella propria giurisdizione o, quanto meno, a farla rimanere in possesso di proprietarii di Avellino!

Come si vede, tante le argomentazioni addotte dallo Scandone, il quale, tra l'altro, in nota alla pagina 12 non manca di segnalare come Scipione Bellabona, nei suoi Ragguagli (alla pagina 54), è vero che aveva scritto che il territorio della <<civita>> fu ceduto, dopo il 1300, dagli Avellinesi agli Atripaldesi, ma non ne aveva fornito le prove con documenti attendibili.

Tuttavia, la ricostruzione operata dallo Scandone, della distruzione ed abbandono di Abellinum all'arrivo dei Longobardi non è condivisa da altri valenti Autori.

Tra questi ricordiamo innanzitutto Angelo Michele Jannacchini. Questi, nella sua Topografia storica dell'Irpinia, Tipografia Di Gennaro Maria Priore, Napoli 1889, alla pagina 55, scrisse "Dal quarto al nono secolo dell'era nuova, tutto ciò che si è scritto di Avellino non esce dalle ipotesi e dalle congetture... Che si abbia detto e scritto, è cosa certa, che, tra l'invasioni dei barbari e le guerre dei Longobardi, ora tra loro, ed ora coi Greci, questa città man mano sensibilmente decadde, fino a cessare affatto. L'istinto della vita indusse i mal sicuri abitanti a procurarsi altrove uno scampo, quando videro andare tutto a soqquadro. La sbaglia il Pionati, quando al tempo di cui parliamo, se la vorrebbe additare come ricca e popolosa, e su quale base? Perchè Aione principe di Benevento, conferì il titolo di conte al castaldo di Avellino. Eppure, quando ciò avvenne, questa città versava nelle maggiori strette, e lo storico Longobardo Erchemperto disse che in tal tempo gli Avellinesi disertavano i patrii lari, ove tanti di loro avevano perduto sostanza e vita. Non negasi che Aione diede il titolo di conte al castaldo avellinese, ma fu per politica, alla stessa guisa che oggi si barattano croci e titoli cavallereschi. Aione, mi si condoni la frase, era allora il vero ajo nell'imbarazzo, perchè nello stesso tempo era in guerra coi principi di Salerno, coi Saraceni ed i Greci. Ciò che lo mosse a tenersi amico il castaldo di Avellino e quindi lo indusse a conferirgli il titolo di conte ...". Alle pagine 60-61 chiarisce ancora meglio ciò che pensa in merito alla fine di Abellinum e si discosta totalmente dallo Scandone: "L'antica Avellino non fu distrutta una volta solo, ma la finì lentamente in conseguenza di emigrazioni sucessive. La sua cittadinanza come si vedeva, o mal sicura nella vita, o nelle sostanze, cercava altrove un asilo, fino a che esulò tutta o nei monti attigui o sulle colline ovvero in altro luogo ove l'istinto della conservazione menavala. Chi più aveva da perdere ed aveva più cara la vita, questi fu tra i primi ad emigrare tra quelle guerre feroci, che si pugnavano fra Greci, Longobardi, Saraceni e Normanni. Per tal guisa una tanta città si venne man mano a vedovarsi di abitanti, addivenendo le macerie delle sue mura, l'albergo del gufo e del pipistrello; tanto puote la paura! Da queste emigrazioni frequenti, ma successive, esordirono quei tanti villaggi che fanno corona all'odierna città ... Or, tornando all'antica Avellino, ricordo che le famiglie andate via da questa si vennero poi pian piano aggruppando in tre distinte località, come a luoghi di più agevole difesa, cioè nelle colline dette Parco, Terra e S. Eramo, che era, dove si è oggi la Dogana, e che formarono come lo schema della nuova città".

Giovanni Rotondi nel suo "Storia del Castello di Avellino", proponendo l'interpretazione "a contrario" degli eventi e delle congetture dello Scandone, sostenne che i Longobardi non avrebbero avuto convenienza a distruggere Abellinum, che era un centro importante che avrebbe loro permesso un buon acquartieramento, di usufruire di un gettito fiscale, usufruendo, al tempo stesso, di un centro intermedio tra Benevento e Salerno, importante sia dal punto di vista commerciale, sia dal punto di vista delle comunicazioni, che da quello militare. Interesse dei Longobardi, perciò, sarebbe stato quello di rafforzare Abellinum e non di annientarlo. Per suffragare la sua posizione il Rotondi, innanzitutto, tese a sminuire l'importanza dell'interruzione all'anno 541 della serie dei Vescovi di Abellinum, ricordando che tale fu la sorte di ben altre novanta Diocesi italiane, compresa quella beneventana. Anzi, a ben vedere, proprio la mancanza di un Vescovo che esortasse alla resistenza, avrebbe favorito l'invasione longobarda, del resto auspicata dalla popolazione, stanca delle vessazioni bizantine, ma anche delle continue guerre, delle carestie, delle pestilenze. Inoltre, la mancanza di lapidi successive all'anno 558, sempre secondo il Rotondi, poteva essere facilmente spiegata da rotture, disperdimenti, ed ancor più dal fatto che i Longobardi, originariamente ostili al Cristianesimo, potrebbero aver impedito, inizialmente, l'uso delle lapidi, fermo restando la possibilità che ulteriori scavi, potrebbero riportare alla luce lapidi posteriori alla data indicata.

Secondo noi, i due argomenti riportati dal Rotondi sono "deboli", mentre sicuramente dovrebbero indurre a maggior riflessione due sue successive considerazioni, cioè l'assenza di una qualche Cronaca che abbia fatto riferimento alla distruzione di Abellinum, che era senz'altro un importante centro e per giunta antico ed il fatto che il "buio storico" su Abellinum cessò, come anticipato nel IX secolo, quando tra l'832 e l'839, Abellinum ebbe come Gastaldo il potentissimo Rotfrid, cognato e Cancelliere del Principe Siccardo di Benevento. E' possibile ipotizzare che tale Rotfrid si sarebbe accontentato della supremazia su di un borghetto nascente, quale doveva essere Avellino? O, invece, tale Abellinum era l'antico centro conquistato dai Longobardi, che perciò doveva essere ancora abitato e non completamente decaduto?

Tuttavia, neanche può dimenticarsi un altro elemento, che, prescindendo dalla eventuale distruzione di Abellinum, ne avrebbe suggerito senz'altro l'abbandono: da un punto di vista difensivo, Abellinum era collocato in posizione infelice, essendo situato in posizione pianeggiante e facilmente conquistabile. Pertanto, distrutta o non distrutta dai Longobardi, Abellinum, sia in seguito alle distruzioni apportate dai Goti di Totila e dai Bizantini, che coll'arrivo dei Longobardi, iniziò a svuotarsi, visto che gli Abellinates cominciarono a disperdersi, dirigendosi verso posizioni più sicure, prescegliendo presumibilmente, almeno in parte, la vicina Collina "La Terra", distante solo tre chilometri.

Una cosa comunque è certa: i Longobardi ritennero essere il perimetro di Abellinum troppo vasto per poter essere difeso agevolmente, a parte la considerazione di dover ricostruire le mura distrutte dall'esercito di Totila, il che avrebbe richiesto molto tempo e la disponibilità di operai abili e disponibili. Francesco Scandone, alla pagina 43 del suo Abellinum Longobardicum citato osservò: "Quando i cronisti accennano al capoluogo del nostro gastaldato, ricordano, per il tempo più antico, solamente un <<castrum Abellini>>. Un luogo fortificato, per la residenza del gastaldo, era più che necessario; esso doveva servire non solo per tener a freno la turba servile, ma anche per custodire, al sicuro, i frutti della conquista".

Alla luce delle considerazioni finora effettuate, è arduo datare con una certa approssimazione la data di edificazione del Castello di Avellino; è assai probabile, tuttavia, che già esistesse in loco una struttura difensiva preesistente, tipo un presidio e che i Longobardi abbiano edificato su questa struttura o meglio, la abbiano potenziato ed ampliato. Di tale avviso fu anche lo Scandone, che alla pagina 14 del suo Abellinum Longobardicum scrisse: "Fu il <<castrum Abellini>> (castello del distretto abellinate) edificato ex-novo dai Longobardi? La risposta negativa non sembra dubbia, quando si rifletta che essi non erano dei costruttori; anzi, nelle loro selve native, menando una vita semi-nomade, non avevano avute nemmeno vere e proprie case in muratura. Si può con fondamento congetturare ch'essi occuparono uno dei minori fortilizii dell'antico Abellinum, il quale poteva essere un rifugio per i <<milites>> destinati a proteggere il traffico delle strade dai ladri, oppure costituiva un antemurale della <<civita>> .... Si trattava d'una antica torre, quadrata, di 10 metri di lato, costruita, come dicevasi negli antichi tempi, <<ad emplecton>>" . Tale elemento venne ben descritto da Giovanni Rotondi (Il Castello di Avellino - Biblioteca Provinciale, Sez. MISC. 2438): "Il mastio - che ancora si vede - si elevava al centro del lato sud ovest del palazzo, fra le due torri sud-ovest e nord-est. Era alto e quadrato: misurava dieci metri di lato. Aveva un solo piano, in corrispondenza del secondo piano del palazzo, col quale comunicava, ed era fornito di aperture, saettiere e finestre con parapetto e merli". Conclude lo Scandone dicendo: "Con l'aggiunta di un recinto, e di alcune torre minori, poste intorno a questo mastio centrale, il castello prese la forma, che conservò sino ai primi tempi feudali .... Si trattò dunque di un adattamento, di un rifugio di fortuna, non di un vero e proprio <<procugnacolo di guerra>>". Tale impostazione viene avvalorata da recenti rinvenimenti nell'area del castello di Avellino, dove sono stati trovati centinaia di cocci classificati come ceramica a bande larghe del VI-VII secolo di origine bizantina, destinata ad uso domestico.

Molto hanno dibattuto gli Autori (Bellabona, Pionati, Scandone) su di un documento del 769, dell'Archivio di Montecassino, Regesto di Pietro Diacono, Fol. 791, n.176. In esso, un ricco longobardo, suddito del ducato beneventano, Lowe (latinizzato Leo), del fu Unoaldo, in assenza di prole, dona a Tomichi, Abate di Montecassino, se stesso e le cose sue, tranne una casa ed una chiesa in Benevento, offerte al suo <<signore>> Arechi II, riservando l'usufrutto vita natural durante, ad una zia, del <<casale Pantanum erga Beneventum>>, da cui dipendevano dei servi in territorio <<de Abellino et de Transmonte>>. Secondo Francesco Scandone (Abellinum longobardicum pag. 18) "... dopo un intervallo di più di due secoli (dal 558, data dell'ultima epigrafe romana, al 769) .. il nome <<Abellinum>> ... pare che possa riferirsi non solo alla circoscrizione amministrativa, costituita dal gastaldato, ma anche alla nuova città longobarda, che n'era il capoluogo", aggiugendo alla pagina 22, dopo una lunga spiegazione, che "nei <<servi de Abellino et de Transmonte>>, ricordati nel doc. del 769, si devono ravvisare soltanto i discendenti di quella parte degli abitanti dell'antica Abellinum (città campagna), i quali, come vile armento, erano stati divisi fra i conquistatori". E' utile aggiungere che in Avellino Longobardicum cit, pag. 99-101 Franscesco Scandone chiarisce anche che la terra era lavorata anche da persone libere: "Tra i lavoratori del suolo non mancavano neppure degli uomini liberi che ci tenevano, anche per i nomi, a distinguersi dai <<servi>>. Infatti, mentre essi portavano dei nomi longobardi, o greci, i servi avevano conservato il nome romano-cristiano; e talora, in forma diminutiva. D’altra parte, se anche fra loro si notavano de’ nomi longobardi, si può supporre che fossero quelli dei liberi, che, per debiti, o per altra indegnità,  fossero discesi alla condizione servile".

Altro documento in cui si cita Avellino risale all'838 (gennaio): Sicardus .... In nomine domini dei salvatoris nostri Ihesu Christi. Concessimus nos vir gloriosissimus Sicardus Dei providentia Langabardorum gentis Princeps, per rogum Adelchise dilecte coniugis nostre. tibi Auctolo aurifici nostro res illas in Folio. tanense quas Allo. liber homo infiduciatas aut in pignus tenuit a servis nostri Palatii sacri et Dominicus servus nostri Palatii cum uxore et filliis cum suis cespitibus de Foliolanense .... ut amodo et deinceps .. perpetuis temporibus possideatis. Actum abellino sexto anno ... mense ianuario. prima indictione". Alla fine di questo atto, con cui il Principe Sicardo a richiesta della Principessa Adelgisa, dona alcuni beni al suo orefice Auctolo, si legge "Actum Abellino", il che potrebbe far pensare alla civita longobarda fortificata e non alla vecchia Abellinum.

Richiamiamo per un attimo la fine della decennale contesa tra i Longobardi, decretata nell'849 dall'Imperatore Ludovico II, che sancì la scissione del Principato di Salerno da quello di Benevento. Abellinum venne fatto rientrare nel Principato di Benevento, e trovandosi in prossimità del suo confine meridionale, sicuramente dovette rivestire un'importanza strategica quale sbarramento ad eventuali invasioni. E di invasioni se ne verificarono tante, particolarmente nella seconda metà del IX secolo e nella prima del X secolo. E' naturale pensare ad una popolazione, sia pure residuale (se ancora residente nella vecchia Abellinum) in fuga all'arrivo degli invasori. Il problema è che per far ciò, occorreva l'assenso del Principe Ajo (Aione), che venne dato, secondo l'Abate Scipione Bellabona, nei suoi "Ragguagli della Città di Avellino", pubblicati in Trani per Lorenzo Valerij nel 1656 (Libro II, pag. 145). Egli dopo un riferimento (con date ed Autori) alle incursioni Saracene ed ai danni patiti da Abellinum ("e da tutti sempre mai ne fu grandemente danneggiato Avellino"), scrisse che "per la qual causa, con licenza d'Aione, prencipe di Benevento, li 887 lasciarono gli Cittadini d'habitar il primo luogo, e passarono a far l'edificij ove hor si vede la città & in alcun'altre colline d'appresso ...". Cosa che confermò, usando frasi simili o di significato equivalente, alle pagine 137, 141 e 142 ed a pagina 293 del IV libro, nonchè alla 134: "la Città con i suoi abitatori era nel primo luogo, appresso ove hora è edificata Atripalda …. & il Vescovo Rogiero nel luogo citato: come nel presente, al quale li Cittadini si trasferirono nel corso dell’ottavo secolo per le diverse divastationi sostenute da’ Saraceni, Greci", indicando come fonte la "Storia dei Longobardi di Benevento", del nobile di Teano e Monaco Cassinese Erchemperto, vissuto verso la fine del IX secolo, e quindi, contemporaneo delle vicende narrate. Tuttavia, e qui nasce il problema, l'Abate Scipione Bellabona, sempre nel Libro II, alla pagina 142, sottolineò come quanto detto non fosse riportato in stampa, ma che, invece, derivasse da testo manoscritto. A peggiorare le cose, la notizia fornita, non si ritrova nelle pubblicazioni dell'opera citata (risalenti al Pellegrino nel 1643 e dal Pertz nel 1839) che abbiamo consultato anche noi e, pur avendo trovato numerosi riferimenti ad Ajo, niente si dice in merito all'evento dell'887!). Pertanto, la data dell'887 quale data di migrazione dei residui abitanti di Abellinum verso Avellino non è direttamente documentata, mentre le prime notizie documentalmente certe vennero indicate in un atto notarile dell'891, visibile nella Storia di Avellino (pagina 86) di Francesco Scandone. Tuttavia, la data indicata nella storia manoscritta a cui fece cenno il Bellabona è attendibile ed indica approssimativamente il periodo che stavamo ricercando, ammesso che l'esodo non fosse già stato effettuato in precedenza verso la metà del IX secolo, per l'intensificarsi delle invasioni Saracene e per il frazionamento del vecchio Principato longobardo di Benevento, che aveva reso il nuovo, in cui ricadeva Abellinum, più piccolo e più vulnerabile. Le date delle invasioni, ricordate dal Rotondi, confermano le ricostruzioni effettuate: dall'849 al 900 da oriente, dal 901 al 915 da occidente, e dal 915 al 950 nuovamente da oriente. Il Castello di Avellino protegge la Collina "La Terra" da oriente, pertanto, il suo potenziamento (o meno probabilmente la sua edficazione) va ascritto o al periodo tra l'849 ed il 900 o tra il 915 e il 950. Ma il secondo periodo è da escludere, visto che nel 900, l'aggregazione della Contea di Capua al Principato di Benevento, aveva fatto venir meno il ruolo difensivo svolto da Avellino nei confronti della prima. Inoltre, nel 915 i Saraceni vennero sconfitti definitivamente.

Giuseppe Zigarelli (Storia della Cattedra di Avellino e de' Suoi Pastori, Vol.1 , pag. 60 segg.) è concorde con tale visione: "prima le guerre de' Goti, le devastazioni de' Saracini, le civili discordie de' Longobardi avessero di Avellino disfatto ogni bello di architettura .... Perlochè i suoi abitanti taglieggiati, decimati, sperperati, e bisognosi di maggior asilo e difesa, ne' tempi posteriori incominciarono ad emigrare verso le alture propriamente occidentali, sino a che sotto il principato di Ajone si stranarono affatto dalla vecchia città compresa nel ducato beneventano, e la nuova edificarono, di cui esso Ajone intitolossi primo conte (richiamando in nota Erchemperto nell'Historia Principum Longobardorum).

Tuttavia, il recente ritrovamente nell'area del Castello di centinaia di cocci di ceramiche bizantine del VI-VII secolo, legittimerebbe una differente lettura del passo relativo ad Aione riportato da Scipione Bellabona e richiamato senza dubbi da tantissimi Autori: lo scenario sarebbe quello dell'abbandono alla volta della collina "La Terra" nell'887, su autorizzazione del Principe Aione, degli abitanti del borgo sorto verso la metà del VI secolo (riconquista bizantina in epoca giustinianea) attorno l'originaria struttura difensiva che sarabbe stata poi ampliata dai Longobardi.

Altro documento che ha fatto molto discutere risale all'888, in cui si legge "Ajo Beneventorum Princeps Bari degens Graecos impugnabat; audita fraude Athanasii, omni saevitia deposita, cum tribus millibus bellatorum venit Abellinum, quae civitas postea erecta est, et comitali digitate insignita deposito castaldatu". Ajo è Aione, Principe di Benevento, che dimorò in castrum avellino (Erchemperto). Rimandiamo in particolare ai testi citati di Francesco Scandone e Serafino Pionati, che interpretarono in maniera difforme il passo sovrariportato.

L'abbandono totale di Abellinum antica alla fine del IX secolo può, comunque, darsi per avvenuta: in un documento dell'891 (aprile), del Codex Diplomaticus Cavensis. (II pag.52), Isengardo di "Pronella" in territorio di Abellinum, con i consorti Senardo ed Erfelaizio, vende a Sadelfrit ed a Guandelmari un esteso podere al Bagno; una vigna alle "Veterali", ed un'altra terra al "Trivio" (= Triggio?). "Veterali" sono quelle che Scandone chiamò "Anticaglie", cioè i ruderi di Abellinum, così era ridotta la vecchia civita in quest'epoca!!!

A conclusioni diverse giunge il Rotondi op. cit, secondo cui il Castello di Avellino venne costruito prima del 900 e che le mura difensive del nucleo originario di Avellino vennero erette verso la fine del IX secolo. La conferma deriverebbe dall'episodio di Guaimaro, che avvenne ad Avellino nell'896, in relazione al quale, la Cronaca Salernitana e la Cronaca di S. Benedetto utilizzarono le parole "oppidum Abellinum", ed oppidum è indubbiamente una fortezza. In aggiunta, la Cronaca di S. Benedetto evidenziò come Guido II da Spoleto partì da Benevento, attaccando la città "machinis et diverso oppugnationum apparatu". Sommando i due eventi citati, ne segue che Avellino a quel tempo doveva essere protetto da mura difensive, essendo un "oppidum" assediato da Guido II con macchine da guerra. Quindi, l'896 segna la data limite superiore, oltre la quale non si può negare l'esistenza della nuova Avellino. Il Rotondi, alla pagina 28 dell'opera citata, indica il lasso di tempo: "Tutto ciò mi fa ritenere che le mura ed il castello d' Avellino siano stati eretti da Adelferio I, tra l'884 e l'896". Si tenga presente che Francesco Scandone, in Storia di Avellino, Dalle origini fino alla fine della dominazione longobarda (Napoli, Stabilimento Tipografico Michele D’Auria, 1905) Biblioteca Provinciale Sez Prov 1414, alla pagina 11, scrisse "il principe Aione, il quale dimorò anche, nell'888, nel <<castrum>> di Avellino", del quale si hanno notizie come distinto dalla civitas anche nell'896. Anzi, lo Scandone (pag. 95 Storia cit.) sottolineò come potesse ravvisarsi già un dato antecedente che distingue tra civitas e castrum, visto che in un documento dell'833 si legge "in Abellino" e non "in castro Abellini".

Le mura difensive dovettero proteggere tutta la Collina "La Terra", cioè l'area del Duomo fino al percorso rappresentato oggi da Via Umberto I. Occorre tener presente, infatti, che la conformazione originaria della Collina "La Terra", su cui si aggregò il nucleo originario di Avellino, presenta delle differenze rispetto a quella attuale, a causa dei lavori effettuati nel corso dei secoli, come spiegò Giovanni Rotondi nella sua Storia del Castello di Avellino, a cui rimandiamo.

La scalinata sul lato orientale della Collina "La Terra", che conduce al Castello Qui ci limitiamo a riportare il Rotondi che ricordava che la Collina "La Terra", "quando sorse Avellino, era, nella sua parte elevata, ben più ampia che non oggi ... Ed era anche meno alta, come ci attestano il pavimento della chiesa dei "Sette Dolori" - che è forse la chiesa più antica della città - e il fatto che nel 1874, nel demolire alcune case per allargare la "Piazza dell'Ospedale", si scoprì che queste poggiavano su ruderi di altre che si trovavano ad un livello inferiore. I tre versanti nord, sud ed est erano nei passati secoli assai ripidi. .... Anzi il versante est finiva a picco, come si rileva da un'antica stampa, là dove ora sono le case che affacciano sul "Largo del Castello" .... E anche il Riocupo ed il Fiumicello, che lambiscono la collina a nord e a sud, avevano nei passati secoli un maggior volume d'acqua ed erano soggetti a piene ...".

L'immagine mostra l'attuale scalinata sul lato orientale della Collina che conduce al Castello, per quanto detto, molto meno inclinata che in passato.

Come anticipato e sottolineato nel corso della trattazione, il "mistero regna sovrano", visto che nessuna prova inconfutabile esiste o è stata trovata finora in merito alle origini del castello di Avellino. Pertanto, restiamo in attesa degli sviluppi dei recenti rinvenimenti sul pianoro del castello effettuati durante i lavori di restauro in corso, che se confermati porterebbero a modificare i risultati suindicati. Vi riportiamo in altra pagina web una sintesi dello stato delle indagini.

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