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Lingua

La lingua parlata dagli Hirpini, come del resto quella dei Sanniti e di tutte le popolazioni Osco-Umbro-Sabelliche era la lingua osca, con inflessioni sabine. Tant'è che Tito Livio scrisse che nell'anno 456 di Roma, il Console L. Volumnio, che combatteva i Sanniti, al fine di carpire preziose informazioni nei presidi dei rivali, poco prima dell'alba, si avvicinò al loro accampamento e vi inviò persone che capivano la lingua osca: "Aliquanto ante lucem ad castra (Samnitium) accessit (L. Volumnius consul) gnarosque Oscae linguae exploratum quid agatur mittit".

La lingua osca era parlata anche in qualche paese della Messapia (Terra d'Otranto), dove era conosciuta per ragioni commerciali, era capita dai Lucani e diffusa nel Bruzio (Calabria), dove col sopraggiungere dei Greci si parlarono entrambe le lingue. Ciò spiega perchè Festo, in "De Verborum significatione" chiamò i Bruzi "bilinques". Del resto, vi era una stretta parentela tra la lingua osca, quella greca e quella latina antica, visto che Greci ed Italici, prima di raggiungere l'Europa, avevano la radice comune nella nazione aria o indoeuropea. Basta raffrontare alcune parole osche e latine per rendersi conto di tale affinità linguistica: tesaur-thesaurus, Mamers-Mars, deivai-divae, ecc. Inoltre, i Mamertini fecero conoscere la lingua osca nella parte settentrionale della Sicilia.

Dal punto di vista grammaticale le differenze tra latino ed osco non sono enormi, anche se rilevante sono le differenze dal punto di vista fonetico (suoni), la morfologia e l’ortografia.

Ma il grosso problema della lingua osca sta nella sua tardiva rappresentazione scritta.

L'alfabeto osco derivò da quello etrusco, sia pure con alterazioni, e scaturì dai contatti con gli Etruschi della Campania quando, nel V secolo A.C. i Sanniti si spinsero sul Mar Tirreno. Tuttavia, l'utilizzo di tale alfabeto in via generalizzata si ebbe solo verso la metà del successivo IV secolo A.C.

Altro elemento caratteristico fu dato dall'impiego di caratteri non dell'alfabeto osco nazionale in varie epigrafi: in quella relativa ai mercenari compsani si utilizzò l'alfabeto greco, impiegato comunemente anche nel Bruzio ed in Lucania, mentre altri popoli utilizzarono i caratteri latini, come i Sabini, i Volsci, i Peligni, i Marrucini, i Vestini, i Marsi, mentre i Frentani, nel III-II secolo A.C., impiegarono sia l’alfabeto osco che quello latino.

Non sono giunti fino a noi testi letterari in lingua osca, eccezion fatta per la "Fabula atellana", che oggi verrebbe etichettata come commedia dell’arte, molto gradita nella Roma dei secoli III-II A. C. Ecco perchè, Strambone, al tempo dell'Imperatore Tiberio, sottolineò come nonostante la sovrapposizione agli Oschi, dapprima di popolazioni Umbro-Sabelliche e successivamente Romane, la loro lingua continuasse ad essere utilizzata presso i Romani, nell'ambito di poesie ed in rappresentazioni sia burlesche che drammatiche celebrate seguendo un'usanza antica.

In assenza di testi letterali in lingua osca, la conoscenza di tale lingua deriva dalle epigrafi, di cui la più lunga è la Tabula Bantina, in bronzo, risalente secondo alcuni alla prima metà del I secolo A.C., secondo altri alla seconda metà del II secolo A.C., che venne rinvenuta nel 1793 presso Bantia, antica città osca (odierno Banzi in Provincia di Potenza). Tale epigrafe fu determinante per la decifrazione della lingua osca, visto che presenta, su una faccia in latino e sull'altra in osco, la legge fondamentale regolante la vita della città.

Di estrema importanza è il Cippo Abellano, ritrovato ad Avella (antica Abella), città osca e poi romana, che in lingua osca secondo l'alfabeto nazionale contiene il trattato tra le Città di Nola ed Abella.

Altri importanti reperti sono la Tavola di Agnone, rinvenuta nel territorio di Capracotta, su cui si legge dell’organizzazione di un santuario e dei riti celebrati nel corso dell'anno, nonchè varie iscrizioni dal santuario di Pietrabbondante.

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