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Longobardi

I feroci Longobardi, giunti nelle nostre terre tra il 570 ed il 571, un primo tempo ostili al Cristianesimo, verso la metà del VII secolo, colpiti dall'aiuto ricevuto dalla popolazione cristiana durante gli attacchi bizantini, videro sotto una "nuova luce" i Cristiani, che cominciarono a tollerare, addirittura convertendosi e cominciando ad edificare luoghi di culto, molti dei quali dedicati all'Arcangelo Michele, che somigliava molto ad uno dei loro Dei guerrieri. Questa trasformazione venne particolarmente rimarcata da Francesco Scandone (Storia di Avellino dalle origini alla fine della dominazione longobarda, Stabilimento Tipografico Michele D'Auria, Napoli, 1905, pag. 180): "... sebbene al principio dell'invasione fossero stati così feroci, da non risparmiare nessuno degli antichi possessori delle terre occupate ... essi divennero poi di mano in mano più civili e colti, assimilandosi a poco a poco la civiltà, e la religione dei vinti .... I Longobardi erano di natura guerrieri, non agricoltori: avevano però cura, che le loro terre fossero coltivate, cedendole ai coloni a patti assai miti. Per opera loro, rifiorì nel sec. IX l'agricoltura nel territorio avellinese, ch'era coltivato a granaglie, o a lino, e si veniva ricoprendo di castagneti, e noccioleti, e di gelsi, che servivano per il prezioso <<serico>>, la cui coltura doveva forse essere introdotta nelle nostre contrade poco dopo del tempo di Giustiniano (527-565). E' certo che alla fine del dominio longobardo Avellino ... si trovava in uno stato di floridezza, che forse hon aveva nulla da invidiare a quello attuale".

E' probabile che nel corso del VI, VII, VIII e l'inizio del IX secolo, dovette aumentare la concentrazione di persone sulla Collina "Selectianum", poi divenuta "La Terra" ed aree limitrofe. Secondo alcuni, anzi, la fuga da Abellinumsarebbe stata totale e definitiva sin dal 570-571, preceduta addirittura da pionieri fuggitivi nel 555.

Con la definizione della questione interna, avvenuta nell'849, e la divisione del Ducato longobardo in due Principati, in seguito denominati Principato Citra Serras Montorii (Principato di Salerno) e Principato Ultra Serras Montorii (Principato di Benevento, in cui ricadevano Abellinum/Avellino), i Longobardi poterono dare un migliore assetto al territorio ed agli insediamenti urbani nel frattempo sorti, tra cui l'aggregato sulla Collina "La Terra" che doveva aver ormai acquisito la tipica conformazione ad avvolgimento, con una serie concentrica di abitazioni attorno all'originaria Chiesa di S. Maria, costituente ormai il nucleo originario del Capoluogo.

Ma proprio l'evento della divisione citata del Ducato longobardo apre un'altra questione, non tanto quella della data di edificazione del Castello di Avellino, che come leggerete nella pagina avanti indicata appare come uno pseudo-problema, in quanto presumibile ampliamento di una struttura preesistente, ma quello dell'edificazione dell'Abellinum longobarda, che venne protetta da possenti mura e fu al centro di una vasta Contea.

Francesco Scandone alle pagine 7-8 e 94-97 del suo Storia di Avellino, Dalle origini fino alla fine della dominazione longobarda (Napoli, Stabilimento Tipografico Michele D’Auria, 1905) Biblioteca Provinciale Sez Prov 1414, ci consente di conoscere con notevole precisione il perimetro dell'Avellino longobarda, che era "un oppidum fortificato con mura e torri". Le mura racchiudevano il rialto su cui sorge il Duomo, detto la collina de “La Terra”. Alle pagine 7 e 8, lo Scandone ci spiega il perché di tale denominazione: “<<la Terra>>, col quale si suole indicare, nei nostri dialetti, il <<centro abitato>>, come termine opposto a <<campagna>>, con cui si è soliti chiamare il <<contado>>. A questo rialto, ch’era, nei tempi longobardi, come vedremo, circondato di mura, si dava, soltanto, il nome di <<civitas Abellini>>; il resto costituiva il <<suburbio>> … alla parte, che, fra settentrione ed oriente, rimaneva a piè delle mura si dava, e si dà tuttora il nome di <<Tufara>> (cava di tufo). Col medesimo nome ora si designa la via, che, in ripida discesa, mena, dal sommo della <<Terra>>, al basso, dirimpetto alle rovine del castello”. Inoltre, “… per la difesa il  muro stesso doveva essere munito di un fossato, e rinforzato da torri. Una di questa potrebbe ravvisarsi ancora in quello che, rafforzata posteriormente divenne l’attuale <<Torre dell’Orologio>> … In questo muro si aprivano varie porte; ma i documenti longobardi … ce ne fanno conoscere solamente una, principale, ed un’altra secondaria o <<posteruola>>. La porta principale, secondo un documento normanno, si chiamava anche  <<maggiore>>, e si apriva dirimpetto al castello. Una via, che si può riconoscere facilmente, innestandosi a quella della Turara (che rimaneva fuori dalle mura) saliva da quella porta alla Piazza maggiore….. Dentro il recinto murato, della circonferenza approssimativa di un chilometro, o poco meno, sorgevano le <<case>> degli abitanti”.

Quindi, mettendo assieme le informazioni del paragrafo precedente ed altre raccolte da altre fonti, possiamo dire che sull'altura di "Selectianum", detta poi "La Terra", i circuito della "Civitas Abellini" longobarda si snodava attorno all'originaria Chiesa di S. Maria, l'attuale Duomo e l'Episcopio (divenuto poi Seminario, distrutto dal terremoto 1980, sul cui sito vennero rinvenuti antichi ruderi), e comprendeva la Chiesa di S. Lorenzo, la Porta Beneventana, la Torre dell'Orologio, nei cui pressi vi era la Porta di S. Antonino, la Chiesa di S. Andrea, la Postierla, la Chiesa di S. Nicola dei Greci, Piazza Maggiore e l'Altura del Castello, di fronte a cui, a metà strada tra Via Tufara e la sua parallela in discesa, si trovava Porta Maggiore. A nord di questa c'era la Via del Carbonaio, fuori delle mura, a sud, la Via salernitana. In prossimità del Castello, si trovava la Chiesa di S. Pietro, già esistente nell'891. Pure esistente al 993 era la Chiesa di S. Agnese, mentre più distante era la Chiesa di S. Maria di Summonte, soggetta al monastero di S. Modesto di Benevento. Non molto distante dalla Cattedrale venne eretto il Monastero di S. Benedetto.

Lo stesso Scandone indica l'epoca di edificazione delle mura, alle pagine 94-95 della sua Storia citata: "Del tempo esatto della sua fondazione mancano ora, elementi positivi per precisare la data. Per congettura, la costruzione dell'oppidum dovè essere contemporanea o di poco posteriore alla istituzione del gastaldato di Abellinum; con molta probabilità, si può indicare, con larga approssimazione, il tempo del ducato di Arechi I (590-640). E se ne possono intuire anche le ragioni. Il gastaldo ... era un funzionario del principe. Per esplicare le sue funzioni, aveva bisogno dell'appoggio di alcune centinaia di suoi connazionali, detti<<arimanni>> , e latinamente <<milites>>, perchè essi soli avevano il diritto di portare le armi .... Il loro numero - abbastanza cospicuo - non permetteva la coabitazione con le famiglie, ed i servi del castello, appartenente al sovrano, per la cui difesa bastavano il gastaldo, e una valida, ma non troppo numerosa guarnigione. D'altra parte, ciascuno dei <<milites>>, preso individualmente, non aveva i mezzi di poter costruire, per suo conto, un riparo così ben fortificato, da tenerlo al sicuro, non tanto da nemici, quanto da un'eventuale ribellione di servi. Era quindi necessario, per loro, mettere insieme le forze ed i mezzi, occorrenti a creare una comune difesa". Perciò, nel capoluogo di ogni gastaldato, accanto al <<castrum statale>>, sorse, - ove non esisteva ancora, - una <<civitas>> cinta di mura e di torri, che rendevano sicure le abitazioni dei <<nobiliores homines>>. Ad ogni modo, ritengo che la città esistesse già da tempo, nel 769, quando essa dava il nome al territorio, nel quale erano disseminate varie <<curtes>> minori, coltivate dai <<servi>> del longobardo Löwe". Quest'ultimo documento è stato illustrato spiegando le origini del castello di Avellino.

Gli eventi riportati precedentemente rendono verosimile la quadrisecolare vacanza della Sede Episcopale di Avellino, cioè dalla metà del VI secolo fino al 969. In tale lungo periodo, se da un lato, la giurisdizione territoriale ecclesiastica dovette rientrare nella competenza del Vescovo di Benevento, dall'altro, è lecito ipotizzare che dei fedeli si interessasse materialmente l'Abate della Basilica della Santissima Annunziata di Prata di Principato Ultra. Ciò spiega perché, quando venne ripristinata la Sede Episcopale di Avellino (o, se ancora esistente di Abellinum), il Vescovo assunse anche il titolo di Abate di S. Maria di Prata, o anche dell'Annunziata.

La ricostituzione delle antiche Cattedra episcopali, tra cui quella avellinese, in qualche modo, dovette ricollegarsi, oltre all'esigenza di prendersi cura delle anime dei fedeli, in rilevante crescita numerica per l'esplosione demografica, anche all'incombente pericolo rappresentato dagli attacchi dei Saraceni, tra la fine del IX secolo e l'inizio del X secolo.

Nel 969, l'Imperatore germanico Ottone I, da cui dipendeva il Principato di Benevento, al fine di frenare la crescita del clero bizantino, che aveva ad Avellino la Chiesa di San Nicola dei Greci alla Rampa della Tofara, occupò Avellino e chiese al Papa Giovanni XIII l'istituzione della Sede Vescovile di Avellino. Per tale motivo, il 26 maggio 969 il Papa citato conferì a Landolfo I, Vescovo di Benevento, il titolo di Arcivescovo ed elevò ad Archidiocesi metropolita quella sede; Avellino fu una delle dieci diocesi suffraganee (dipendenze) con Quintodecimo (l'antica Aeclanum), Ariano (Irpino), Alife, Ascoli (Satriano), Bovino, Larino, Sant'Agata (dei Goti), Telese e Volturara (Apula). Tra le suffaganee, però, Avellino venne posta in posizione privilegiata, come dimostra la collocazione del Vescovo di Avellino accanto all'Arcivescovo di Benevento, che si vede sulla porta bronzea del Duomo di Benevento.

Non è dato di sapere se immediatamente la vacanza della Cattedra vescovile venne colmata. Il primo Vescovo di cui si abbia conoscenza risale al 1053, di nome Truppualdo, documentato in un atto di donazione esistente nell'Archivio di Montevergine.

Coll'istituzione della Cattedra episcopale, il Vescovo si chiamò "Pontifex sanctae Mariae sedis abellinensis". La Chiesa Madre di S. Maria divenne la Chiesa del Vescovo e, dal 900 al 1100, funse da Cattedrale, fino a quando venne abbattuta per consentire la realizzazione della struttura romanica, l'attuale Duomo. Il nucleo originario corrisponde all'attuale Chiesa dei Sette Dolori, la parte designata sin dal 1422 Cappella della Santissima Annunziata.

Venne poi la volta del Vescovo Goffredo (1059) , che col titolo di Episcopus avellanensis (leggasi avellinensis) partecipò al Concilio Lateranense, del Vescovo Pietro (1068), di cui si ha notizia in un documento custodito presso l'Archivio di Montevergine, un atto pubblico relativo ad alcuni suoi eredi, da cui si deduce che era già "dipartito", del Vescovo Innominato (1071), che partecipò il 1 ottobre alla consacrazione della rinnovata Basilica di Montecassino e che fu testimone del passaggio dalla dominazione longobarda a quella normanna.

Un documento (Carte di Montevergine Vol CII fol 69 e seguenti), ricordato da Francesco Scandone (Storia cit. pag. 161) dà util indicazioni, in merito allo stato della città, "ch’era stata una piazza forte sin dalla sua fondazione". In tale atto, i germani Giovanni e Farmaco, con la loro madre Maria, donano a un tal Audoaldo di Landone una casa, che sorgeva <<fuori delle mura di Avellino, e lungo la via, che costeggiava il così detto <<carbonario pubblico>>. "Questo <<carbonario>>, anche per l’avviso del Di Meo, era il fosso, che si apriva innanzi alle mura; ed aveva un tal nome, perché diveniva naturalmente il deposito di tutte le lordure, che vi si gettavano dall’interno della città (conferma Di Meo Annali X p. 99)".

Tuttavia, nonostante che Roberto il Guiscardo avesse avuto da Alessandro III, nel 1080, a Ceprano, la conferma dell'annessione del territorio del Principato di Benevento, Avellino ebbe il suo primo Conte normanno solo nel 1112, quando Riccardo, Conte di Sarno, con la forza, si impossessò di una parte di questa Contea.

E così, passiamo a trattare della dominazione normanna.

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