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Storia

Montefusco è uno dei più antichi centri dell'Irpinia, visto che il suo territorio fu frequentato in epoche assai remote, come venne confermato dal Prof. Pasquale Penta già nel 1890, quando scoprì tombe neolitiche e ritrovamenti vari (anche in altre località Avellino, Calabritto, Calitri, Altavilla, ecc). Tra i reperti ritrovati a Montefusco, famose furono due frecce (riprodotte dal Prof. A de Blasio, nella Rivista d'Italia), una piccola ed una più grande.

In epoca successiva, gli Hirpini non si erano rassegnati al dominio romano, tanto che con la venuta di Annibale le loro città si schierarono dalla sua parte. Tuttavia, sconfitto Annibale, se da un lato, i Romani punirono le città ribelli, come ci ricorda Tito Livio, distruggendo Compsa, Orbitanium e Fugifulae (o Felsulae o Fulsula o Falsulae), secondo alcuni progenitrice di Montefusco (ma non vi sono prove), massacrandone gli abitanti, dall'altro, il medesimo Tito Livio dice che il Console romano Fabio non fu molto duro contro gli Hirpini, (libri XXV e XVII). Dal che si deduce che le città distrutte con molta probabilità furono punite non per la loro insurrezione contro i Romani, ma per la loro ostinata ribellinone.

In particolare, per quel che riguarda la storia di Montefusco, sembra che i superstiti di Fulsulae abbiano trovato rifugio su di un non lontano monte, dando origine ad un abitato al quale diedero il nome Mons Fulsolae. Altra citazione di Fulsulae ci viene da Marco Terenzio Varrone (vissuto tra il II-I secolo A.C.) che la fece rientrare tra le 21 città fondate dagli Hirpini tra il Sabato e l'Ofanto, i quali proprio sul Mons Fulsus avrebbero eretto l'altare del sacrificio, tenendovi permanentemente accesi dei fuochi, dove ogni anno convergevano le tribù del Partenio e del Terminio (per celebrare dei riti propiziatori, durante i quali camminavano sui carboni accesi, a piedi nudi, protetti da un unguento), come si legge da un farmmento di Varrone riportato da Servio, confermato in scritti di Virgilio. Nel corso del tempo, cessati i riti, il nome sarebbe rimasto ed il luogo si sarebbe chiamato Mons Fuscus, a causa della folta vegetazione (mutato poi in Montefuscoli, Montefuscolo ed, infine, Montefusco). La conferma dell'esistenza se non del preesistente sito irpino, quantomeno di un sito in epoca romana deriva da numerosi rinvenimenti archeologici attinenti a tale epoca:

Le invasioni barbariche segnarono l'inizio di un periodo storicamente "buio", nel senso che nel lasso di tempo intercorrente tra la caduta dell'impero romano d'occidente e la venuta dei Longobardi, l'assenza di fonti certe è assoluta, tanto che persino un famoso storico locale del XVII secolo, Eliseo Danza, non fu in grado di fornire notizie anteriori al 1120. Ed infatti, si sa solo in base alla tradizione, e non a fonti scritte, che il vecchio sito romano sarebbe stato distrutto dai Goti, inducendo i superstiti ad aggregarsi attorno ad un eremita, S. Giovanni del Vaglio, nel luogo dove fu edificata l'omonima chiesa.

Successivamente, in virtù della sua strategica posizione di difesa di Benevento, i Longobardi, che non avevano un vero e proprio ordinamento feudale, fortificarono Montefusco, erigendovi un sia pure approssimativo "castrum", di cui oggi sebbene non resti alcuna traccia, tenendo conto delle trasformazioni successive, si può ritenere che costituisse un vero e proprio fortilizio protetto da mura. L'esistenza di un borgo in tale epoca è data per certa, visto che già Lorenzo Giustiniani, nel Dizionario geografico, parlava di "Montefusco longobarda". Nell'anno 849, con la definizione dei confini col Gastaldato di Avelllino, il Principe di Benevento mantenne tutte le terre che da Montefusco, Torre Le Nocelle, Montemiletto, Montefalcione, Chiusano, Montemarano, giungevano fino al bacino del Dragone, oltre cui iniziava il feudo del Principe di Salerno. Ad ogni modo, la crescita del borgo medioevale avvenne in epoca successiva, solo a partire dall'XI secolo.

Durante la dominazione normanna, Montefusco, sempre in virtù della sua strategica posizione nei confronti di Benevento, vide la nomina reale di un Contestabile, un magistrato con poteri militari, e non soltanto civili. Nel 1077, Roberto il Guiscardo sottrasse Montefusco al dominio papale, venendo scomunicato da Papa Gregorio VII, che comunque riacquisì le terre. Il Guiscardo riconquistò Montefusco, cedendolo a Pandolfo, Principe di Benevento, ma successivamente, il feudo tornò sotto il dominio papale. Nel 1114, Landolfo La Greca, col sostegno del Papa Pasquale II, pose fine alle incursioni dei Normanni, capeggiati da Roberto, che seminavano il panico commettendo ripetuti abusi ed omicidi. Il La Greca morì nel 1123. Nel 1127, il conte Giordano si impadronì di Montefusco. Successivamente, il paese venne dichiarato dominio regio, anche se al suo interno insistevano piccoli feudatari e baroni (nel Catalogo baronum nell'anno 1157 ne risultavano ben 17). Tancredi, figlio del Re Ruggero I, ospitato presso il castello di Montefusco per accogliervi Irene, sposa del figlio, subì l'assalto delle truppe imperiali, che sconfisse, inducendole alla ritirata. Tancredi fu grato ai Montefuscani per l'aiuto ricevuto, tanto da concedere, nel 1189, alla città diversi privilegi. A Tancredi successe il figlio Ruggiero II, che fece molto rafforzare la struttura difensiva di Montefusco.

Durante la dominazione sveva, Montefusco fu sede di un "balivo" (comandante militare) e patì un secondo grande assedio (dopo quello al tempo di Tancredi) da parte dei partigiani del Papa, chiamati "Chiavesegnati", ma riuscì a non capitolare in attesa dell'arrivo delle truppe imperiali, anche se subì la distruzione dei Casali, che vennero dati alle fiamme. Il sopraggiunto esercito dell'imperatore Federico II di Svevia ebbe la meglio su quello del Papa Gregorio IX, che fatto prigioniero, firmò la pace nel 1229, data in cui tutta l'Irpinia tornò sotto dominio svevo. Federico II fece eseguire dei lavori di ampliamento e fortificazione dell'originario castrum longobardo/normanno. Nel 1231 Santone di Montefusco fu nominato Provvisore dei castelli imperiali di Terra di Lavoro, Benventano e Principato Ultra, mentre Ettore di Montefusco divenne giustiziere della Terra di Lavoro. Nel 1239 l'imperatore inviò una lettera all'Università "hominibus Montisfuscoli" ringraziando gli abitanti per la loro fedeltà e complimentandosi col Gistiziere del Principato per la vigilanza esercitata sui castelli ed il potenziamento del sistema difensivo montefuschese. Nel 1251, venne poi la volta di Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II, che fece potenziare ed ampliare le strutture difensive di Montefusco, dove stabilì la sua dimora. Il monarca svevo morì in battaglia nei pressi di Benevento, sconfitto dalle truppe di Carlo I d'Angiò, a cui il Papa Urbano IV aveva offerto l'investitura. La morte del re svevo Manfredi fu eroica, visto che vedendo dall'alto della collina il suo esercito ripiegare, si pose l'elmo e caduta l'aquila dal cimiero, esclamò "E' un segnale divino", non sottraendosi a morte certa. Il giorno successivo un contadino, che ne aveva raccolto il corpo che trasportava a dorso di mulo, cercava di venderne le spoglie. Gli Angioini lo intercettarono, recuperando il corpo del valoroso nemico, a cui diedero degna sepoltura per onorarne il valore e coraggio (anche se successivamente il cardinale Pignatelli, a causa della scomunica papale che aveva colpito Manfredi, ne fece disperdere i resti). Montefusco non rientrò nei domini del Papato, nonostante che il Pontefice Urbano lo ritenesse sua potestà, tanto da confermare al Santuario di Montevergine la titolarità delle chiese S. Bartolomeo, S. Maria, S. Giovanni, del convento di S. Leonardo e di altre proprietà nel territorio di Montefusco.

II distretto del Regio demanio di Montefusco, dipendente direttamente dalla Corona, verso la fine del XIII secolo, era formato dai paesi e borgate della "Montagna di Montefusco", cioè, Montefusco, S. Paolina, Castel Muzzo, Tufo, S. Angelo a Cancello, S. Nazzaro, Torrioni, Chianche, Chianchetelle, Petruro, S. Angelo a Toro, S. Nicola Manfredi, Pagliara, Toccanise, S. Pietro Indelicato, Montorsi, Bagnara, S. Maria Ingrisone, Ginestra, Mancusi, Cucciano, Terranova, S. Maritno, Lentace, Calvi, S. Agnese, San Giorgio, Pietradefusi con i due villaggi di Pisciaro e Pappaceci, Venticano, il Passo di Dentecane e Torre le Nocelle. In tale periodo, per ben due volte, Montefusco (e relativi Casali) evitarono l'infeudamento.

La prima volta avvenne nel 1271, al tempo di Carlo I d'Angió, che riconquistato il Regno, ringraziò i soldati e nobili francesi che lo avevano aiutato concedendo loro terre e paesi, donando Montefusco (unitamente ad Ariano e Paduli, Laurino e Zungoli) al Conte Enrico de Vademont (o Valdimont). Tra il nuovo feudatario ed Americo de Souz, anch'egli venuto dalla Francia con Carlo I, si instaurò una controversia, ma da un lato, tale concessione venne revocata in breve tempo, nè il Vademont prese mai possesso del suo mancato feudo, dall'altro, questi morì nel 1279. Suo figlio morì senza eredi, venendo il feudo di Montefusco incamerato dal Regio Demanio. Va notato, che Carlo I d'Angiò pur mantenendo l'ordinamento amministrativo introdotto dai Normanni, operò, però, nel 1284, un'innovazione fondamentale, lo sdoppiamento del Principato di Salerno nelle Provincie del Principato Citra, con capoluogo Salerno, delimitato dalle Serre di Montoro, e del Principato Ulteriore o Ultra (Ultra Serras Montorii).

L'infeudamento delle terre montefuscane e relativi casali non si ebbe neanche successivamente, in quanto, sè è vero che vi era stata una concessione proprio a favore di Amerigo de Suoz, nel 1283, per 80 once d'oro e 4 militi in cambio del feudo di Baiano che tornava al Demanio, e che la rivolta dei Montefuschesi contro il Signore loro assegnato era stata sedata dalle truppe di Nicola Gesualdo, a cui era stato ordinato di imporre il de Souz, è altresì vero che nel 1292, il monarca accolse la supplica dell'Università di Montefusco, liberandola dello sgradito feudatario per 400 once d'oro, annullando la concessione feudale. Anzi, il sovrano, considerato che Montefusco aveva sempre fatto parte del demanio regio e che era sempre stata "Torre fortissima di fedeltà e di devozione al Trono", concesse perpetuamente a Montefusco il privilegio di essere dichiarata terra demaniale e regia, stabilendo che i suoi successori non avrebbero potuto concederla, donarla o alienarla ad alcuno, annullando qualsiasi atto in tal senso i suoi successori in futuro avessero effettuato, salvo tre eccezioni: che l'eresia avesse colpito Montefusco, tutto o in parte, che il paese avesse dato aiuto agli eretici o se si fosse macchiato di infedeltà alla Corona. Inoltre, lo stesso Carlo II, in un Rescritto, del 9 agosto 1299, elencando le terre appartenenti al Principato Ultra, comprendenti la maggior parte delle odierne Provincie di Avellino e Benevento (salvo quest'ultimo, rimasto Ducato di pertinenza del Papato), non indicò singolarmente le terre e borgate afferenti a Montefusco, ma le appellò globalmente quali "Casali di Montefusco". Infatti, gli antichi atti regi fanno quasi sempre seguire a Montefusco le espressioni equipollenti "cum suo districtu" o "cum suis casalibus". Tali Casali non vanno visti come odierne frazioni, perchè, se da un lato, ricadevano nella giurisdizione (distretto) del Capitano e dei Giudici regi del capoluogo Montefusco (periodo demaniale) o del Barone (periodo feudale), dall'altro, costituivano municipalmente delle Università relativamente autonome. Montefusco fu eletta capitale del Principato Ultra, città del Regio Demanio e sede delle autorità provinciali, anche se non del tutto esente dal regime feudale. Il successore di Carlo I, Carlo II, nel 1304 diede Montefusco al figlio Roberto d'Angiò, che morì senza eredi (il figlio era defunto in precedenza). L'Università di Montefusco, non fidandosi dello spontaneo mantenimento da parte dei successori della promessa fatta in precedenza da Carlo II, sistematicamente rivolse a questi suppliche affinchè il privilegio venisse di volta in volta riconfermato, cosa che avvenne nel 1368 con la Regina Giovanna I, successa a Roberto d'Angiò. Giovanna I, non avendo eredi, nel 1381 offrì il feudo a Luigi d'Angiò, provocando la reazione degli Angioini del ramo di Durazzo, che la privarono del regno (fu incarcerata a Castel dell'Ovo). Il nuovo feudatario Carlo III di Durazzo, ordinò di usare clemenza verso l'Università di Montefusco che aveva parteggiato per la sovrana. Venne poi la volta del conte de la Rath (1381), di Roberto di Borreto di Monteforte, finchè, nel 1392 Papa Bonifacio IX concesse i feudi di Nocera e Montefusco a Giovanni ed Andrea Tomacelli, investitura confermata da Re Ladislao, che nel 1407 comprese in perpetuo nel Regio Demanio Montefusco e relativi casali, confermandone le esistenti franchigie. Tale Re in aggiunta, in un suo Rescritto riaggregò a Montefusco alcuni casali che ne erano stati staccati, obbligandoli a partecipare ai carichi fiscali unitamente all'allora capoluogo Montefusco, oltre a vietare, pena la confisca dei beni, l'espediente a cui ricorrevano diversi cittadini del Distretto di trasferire il domicilio a Benevento, dove usufruivano di diverse franchigie, visto che ciò comportava lo spopolamento di Montefusco e dei suoi Casali, con conseguenze nefaste per l'esazione fiscale. Nel 1414, Ladislao morì giovane e sua moglie Giovanna II, nel 1425, nominò Boffo Grillo di Salerno "Capitano" con giurisdizione civile e penale su Montefusco, che però fu rimosso l'anno seguente a favore del napoletano Sansonetto d'Alessandro. Con la morte della regina Giovanna II, nel 1435, che non lasciò eredi, si ebbe la fine del periodo angioino.

La regina angioina Giovanna II aveva designato suo successore Alfonso Re d'Aragona. Cambiò però idea, inducendo l'aragonese ad intervenire. Nel 1437, con le sue truppe entrò a Montefusco, premiandola per la fedeltà manifestatagli, tenendola parzialmente esente dai pesi feudali. Inizialmente, i Re aragonesi mantennero la demanialitá di Montefusco, anzi, vi fu chi (Ferdinando I), attratto dal paese, che chiamava "La nostra terra", vi dimorò pertutamente, concedendogli numerosi privilegi. Il periodo di maggior prosperità in epoca aragonese si ebbe sotto Ferdinando I, che si stabilì a Montefusco con i familiari e che ordinò la parziale ricostruzione del castello, gravemente danneggiato durante le vicende belliche. Questi, inoltre, fece ingrandire la chiesa di S. Giovanni del Vaglio e concesse il 19 dicembre 1460 che le autorità apponessero la corona regia sulle insegne cittadine (Montefusco, non dimentichiamo era allora la capitale del Principato Ultra). Lo stesso monarca, nel 1486, fece ritorno a Montefusco per contrastare la congiura dei Baroni ribelli, istigati dal Papa. Tuttavia, l'ambito territoriale del Distretto demaniale regio nel corso de tempo si era sempre più ridotto, tanto che alla fine del XV secolo di tutti gli antichi Casali demaniali residuavano solo S. Paolina, S. Angelo a Cancello, San Nazzaro, Calvi, Torre le Nocelle, S. Pietro Indelicato. Gli altri Casali appartenevano a numerosi feudatari che ne erano venuti in possesso nel corso del tempo a seguito di acquisti o donazioni: il Monastero di Montevergine aveva Cucciano, Terranova, S. Martino, Lentace, Festolari e Pietradefusi; S. Giorgio, allora detto della Montagna o di Montefusco, oggi del Sannio, era suffeudo del conte Nicola lannillo (poi passò alla famiglia Spinelli); S Maria a Toro e S. Angelo a Cupolo appartenevano a Marino Moccia; S. Nicola Manfredi era di Nicola Grifo di Montefusco; Pagliara apparteneva a Bartolomeo Caracciolo; Toccanise era di Camillo Caracciolo (poi con Torrioni sarà feudo dei baroni Giordano di Montefusco); Chianche e Chianchetelle era di Federico Tomacelli, avo di Federico Tomacelli, poi Barone di Montefusco. Morto Ferdinando I d'Aragona, nel 1494, gli subentrò Alfonso II, che il 5 maggio, confermò a Montefusco il privilegio del 29 maggio 1464 concesso dal defunto Re, che prevedeva diverse privative, quali l'esenzione dei diritti di passo, di dogana ed altro ancora. Fece seguito un breve ritorno angioino (Carlo VIII di Francia) e poi Ferrante II d'Aragona, a cui seguì, nel 1496, Re Federico d'Aragona ultimo dei sovrani aragonesi. Tale sovrano donò, il 3 luglio 1497, Montefusco ed i sei Casali residui a Giovanni Borgia d'Aragona, Duca di Candia e Gran Contestabile del Regno di Sicilia, sancendo così l'infeudamento, con la creazione della Baronia. Il primo feudatario morì senza eredi nel 1506, e la Baronia venne riacquisita dal Regio demanio. L'anno successivo, il 1 gennaio 1507, quale ricompensa per le strepitose vittorie che avevano consentito di conquistare gran parte dell'Italia, il Re di Spagna Ferdinando il Cattolico, concesse, unitamente ad altri feudi, la "terra di Montefusco e Casali" al Gran Capitano Consalvo Fernandez De Cordova. Morto il Gran Capitano, la Baronia andò a sua figlia Elvira, a cui successe, nel gennaio 1545, il figlio Consalvo Fernandez de Cordova II, che il 16 giugno dello stesso anno 1545, per 24000 ducati, vendette la Baronia a Nicola Antonio Caracciolo I, Marchese di Vico, con Regio assenso del 12 giugno 1545. Il figlio di Nicola Antonio Caracciolo I, Galeazzo Caracciolo, avendo abbracciato la religione protestante, incorse nel delitto di eresia, punito dalle leggi civili e trattato come crimine contro l'unità spirituale del Regno, e perciò incapace di trasmettere i beni e titoli agli eredi. Tuttavia, l'imperatore Carlo V, accogliendo le richieste del nonno Nicola Antonio Caracciolo I, con Rescritto del 5 aprile 1546, considerato che il nipote Nicola Antonio II avrebbe finito per pagare colpe non sue, concesse il superamento dell'impaccio e, così, Nicola Antonio II fu in grado di ricevere dal nonno la Baronia di Montefusco, quale regalo di nozze con Maria Gesualdo, figlia del Conte di Conza. Oberato di debiti, nel 1573, Nicola Antonio II fu privato della Baronia, che dietro istanza dei suoi creditori venne venduta coattivamente dal Sacro Regio Consiglio ai fratelli Federico e Giangiacomo Tomacelli per 30.000 ducati. Nel 1589, Pompeo, figlio di Giangiacomo, per 45000 ducati, cedette la Baronia a Fabrizio Gesualdo, Principe di Venosa e Piombino. Il nuovo feudatario e suo figlio Emanuele morirono nel 1613 (pestilenza). Delle figlie minorenni di Emanuele, Eleonora si fece suora, mentre Isabella, ereditò il patrimonio paterno, divenendo Principessa di Venosa, ed ottenendo vari feudi paterni, tra cui la Baronia di Montefusco, anche se fino al raggiungimento della maggiore età, fu la madre Polisena Fustenberg ad amministrare il feudo. Isabella, divenuta maggiorenne, andò in sposa al Principe Niccolò Ludovisi (nipote del Papa Gregorio XV), il quale, nel 1676, separò dalla Baronia il Casale di Torre Le Nocelle, avendolo ceduto ad Antonio di Tocco Principe di Acaia e Montemiletto. La Baronia dei Ludovisi terminò nel 1682, quando Giovan Battista Ludovisi, Principe di Venosa e Piombino, per 45000 ducati, cedette il feudo a D. Antonia Della Marra, Duchessa di Flumeri, che però acquistò a nome del Sacro Monte della Misericordia di Napoli, che le fornì il danaro. Tuttavia, nel 1715, il Sacro Regio Consiglio, dietro istanza dei creditori del Ludovisi, dichiarò nulla la cessione del 1682 a favore della Duchessa di Flumeri e con decreto 31 marzo 1716, si ordinò la valutazione ("apprezzo") della Baronia di Montefusco (che aveva un circuito di 25 miglia circondato da torri e castelli). Tale "apprezzo", che ha un incommensurabile valore storico-statistico per Montefusco, si ritrova in un manoscritto del 1716, titolato "COPIA PROCESSUS APPRETII BARONIAE MONTISFUSCI FACTI PER MAGNIFICUM IOSEPHUM RAGUCCIO TABULARIUM SACRI REGII CONSILII 1716", conservato presso l'Archivio della parrocchia di Santa Maria di Montefusco. Il documento venne redatto dal notaio napoletano Giuseppe Raguccio, che fu estremamente pignolo, visitando tutta la Baronia, determinandone non solo le rendite baronali, ma andando molto oltre, descrivendo minutamente i beni, l'assetto urbanistico, l'ordinamento arnministrativo, i bilanci di ogni paese, le attività svolte dagli abitanti, come vestivano, dove dormivano, come apparivano, le chiese, il loro aspetto esteriore ed le ricchezze custoditevi, fornendo anche dati statistici relativi alla popolazione (distinta, come era a quel tempo costume, in anime di "Comunione" e "minore età"), basandosi sugli Stati d'anime formati annualmente per ordine del cardinale Orsini dai parroci, e dati statistici relativi alla consistenza del patrimonio zootecnico (consultando i catasti delle Università). In virtù della valutazione del notaio napoletano pari a 120000 ducati, il Sacro Regio Consiglio vendette coattivamente la Baronia a Luzio Caracciolo, Duca di S. Vito.

E' bene sottolineare che i Baroni di Montefusco non vissero stabilmente nel paese, preferendo la vita mondana di Napoli o di altri feudi più importanti posseduti e limitandosi a fugaci visite all'allora capoluogo del Principato Ultra. Ciò spiega l'assenza di un palazzo baronale. A Montefusco vivevano invece gli Ufficiali Baronali (Governatore, Giudici, Capitano, armigeri) che formavano la Corte Baronale, incaricata di amministrare il feudo e che veniva nominata dal Barone. Tale Corte Baronale, nel XVIII secolo, era ubicata in un ampio ma vecchio palazzo nel centro di Montefusco, dove operava anche il tribunale e si trovavano le carceri. Il luogo esatto era al principio della strada detta "La Stagliata", che dalla strada principale portava alla Porta di S. Bartolomeo.

All'inizio del XVIII secolo, il Re di Spagna Carlo II morì senza lasciare eredi. Ne nacque una disputa tra Francia ed Austria che, per quanto riguarda Montefusco, nel 1707 attribuì il Regno di Napoli all'imperatore d'Austria Carlo VI. Il periodo della dominazione austriaca non fu ricco di avvenimenti di rilievo.

Nel 1734, con l'avvento di Carlo di Borbone, iniziò un breve periodo di tranquillità per il Regno di Napoli, fino al 1759. Morto il Re di Spagna senza eredi, Carlo ne prese il posto (divenendo Carlo III), lasciando il trono di Napoli al figlio Ferdinando. Nel frattempo, il feudatario Luzio Caracciolo, Duca di S. Vito, morì nel 1742. Il monarca (come del resto il padre) fu sensibile alle richieste dell'Università di Montefusco, che nel 1748 chiese che non venisse venduto il feudo del Monte della Misericordia, in modo da non danneggiare i privilegi della città. Inoltre, nel 1753, il sovrano rifiutò la richiesta avanzata dalla città di Ariano di trasferire la regia udienza da Montefusco, tentativo rieffettuato altre due volte, nel 1760 e nel 1794, data ultima nella quale il Re Ferdinando IV fece apprezzare la Baronia e ne ordinò il riscatto, dal nipote di Luzio Caracciolo, Nicola Maria, per 142000 ducati, facendola incamerare dal Sacro Monte della Misericordia di Napoli e mettendola sotto l'amministrazione del regio governatore.

Durante il XVII secolo ebbe sede a Montefusco un'Accademia detta degli "Offuscati", di cui fecero parte Eliseo Danza, Francesco Antonio Ferrigno, Aniello de Socis ed altri.

Nel 1799 i Francesi, dopo aver messo in fuga Ferdinando IV, entrarono a Napoli ed occuparono Avellino e Montefusco. Molti i saccheggi effettuati, di cui resta traccia nel timbro di requisizione del commissario francese, ancora visibile nella parte posteriore di alcuni quadri della chiesa delle suore domenicane. Dal punto di vista amministrativo, la grande innovazione francese fu la modifica delle circoscrizioni territoriali, con la creazione dei Dipartimenti: al Dipartimento del Volturno andò gran parte della Provincia di Montefusco, mentre specificamente nel Cantone di Montefusco, oltre alla città-capoluogo, si fecero rientrare Montemalo, Petruro, Santa Paolina, Tufo, Torrioni, Pietradefusi, Dentecane, Montemiletto, Montefalcione e Chiusano. Dopo poco, tale innovazione venne annullata, reintroducendo la vecchia suddivisione amministrativa, che da Principato Ultra divenne Dipartimento del Calore, sempre con capoluogo Monfefusco. Molti furono in questo periodo gli episodi delinquenziali e di corruzione. Ma l'innovazione maggiore, fu quella introdotta con la legge dell'8 agosto 1806, con cui il Re Giuseppe divise il Regno in 13 Province, trasferendo il capoluogo da Montefusco ad Avellino, suddividendo la nuova Provincia di Avellino (che mantenne lo stemma del Principato Ultra) nei tre Distretti di Avellino, Ariano e Montefusco. Tuttavia, non essendo Avellino ancora dotata dei locali amministrativi per accogliere i nuovi uffici, l'Udienza Provinciale venne mantenuta a Montefusco fino al 1814. Inoltre, i piccoli comuni furono aggregati per raggiungere i 3000 abitanti.

Dopo il 1815, col ritorno dei Borboni, seguito alla restaurazione stabilita dal Congresso di Vienna, dura fu la repressione contro i sostenitori dei Francesi. Questo spiega la dura reazione con i moti del 1820-21 e del 1848, a cui presero parte dei Montefuscani, molti dei quali condannati ed incarcerati nelle galere del Regno, tra cui il carcere di Montefusco. Durante gli ultimi anni del regno borbonico, si registrarono numerosi episodi di brigantaggio, terminati con la fucilazione del celebre bandito Angiolo Ciarlo, la cui banda fu annientata dalla Guardia Nazionale.

Nel 1923 anche la Pretura, ultimo testimone di un glorioso passato, venne soppressa ed aggregata a quella di S. Giorgio la Montagna (ora nel Sannio). Il declino di Montefusco, si trasformò in profonda decadenza. Solo nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, il paese irpino si rianimò per la presenza di molti sfollati, dei tedeschi insediatisi nel castello, e di 750 soldati italiani sbandati. Il 28 settembre 1943 i tedeschi lasciarono il paese facendo saltare alcuni ponti.

Il lungo periodo durante il quale Montefusco ha svolto il ruolo di capoluogo del Principato Ultra spiega perchè abbia dato i natali a tantissimi personaggi illustri. Per ragioni di spazio ci limitiamo a ricordare i seguenti: Goffredo, Riccardo ed Ettore di Montefusco, giustizieri di tre Provincie sotto gli Svevi, Frà Gerardo da Montefusco, vescovo di Dragonara, Frà Tancredi da Montefusco Vescovo di Nicastro, Eliseo Danza (1584) storico e giurista insigne, Tommaso Rossi (21/12/1673), filosofo tanto apprezzato da Giovan Battista Vico che lo definì degno non di Montefusco ma della prima Università d'Europa, di cui era fervido amico, il generale Cesare Martino, Vito Lauria, giudice della Gran Corte Civile, il patriota Giovanni Pirro (1761), il celeberrimo Francesco Lauria (1769), professore di diritto penale nell'Università di Napoli, Paolo Anania de Luca (1778), autore della Teoria dell'acustica applicata alle arti, suo fratello Pietro (1789), giureconsulto e letterato, Gaetano Gagliardi letterato e bibliografo, Pirro de Luca magistrato di gran fama.

Numerosi sono stati gli eventi naturali drammatici che hanno funestato la storia di Montefusco. Tra questi ricordiamo la pestilenza verso il 1670 che colpì la Provincia, riducendo i fuochi (famiglie) montefuschesi da 259 a 152, i disastrosi terremoti del 1688 e del 29 novembre 1732, il quale ultimo causò a Montefusco 5 morti e 20 feriti, molte case distrutte ed 86 lesionate. Nei casali di Calvi, S. Nazzaro, Santa Paolina, San Pietro e S. Angelo si registrarono ben 90 case cadute e due chiese distrutte. Il palazzo della Regia Udienza divenne inagibile, tanto che le sedute si tenero in una baracca, fino a che il Vicerè autorizzo un mandato di pagamento per coprire il costo dello spostamento del tribunale in altro luogo di Montefusco più comodo. Anche il Monastero delle Suore Domenicane, per buona parte, fu reso inagibile e la chiesa Palatina di S. Giovanni del Vaglio subì tali danni, da impedire l'effettuazione di riti religiosi per lungo tempo.

Un pannello in pietra che ci accoglie all'arrivo a Montefusco, che ricorda l'altitudine (metri 797) e gli abitanti (2934), oggi molto ridottisi Chi volesse approfondire la storia di Montefusco può leggere:

"Storia del Capoluogo del Principato Ultra Montefusco e Casali", di Giovanni Castagnetti, Laurenziana Napoli 1976;

"COPIA PROCESSUS APPRETII BARONIAE MONTISFUSCI FACTI PER MAGNIFICUM IOSEPHUM RAGUCCIO TABULARIUM SACRI REGII CONSILII 1716", citata in precedenza.

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